Ricercare i precedenti storici per quel che riguarda il tema della riduzione dell’orario di lavoro è stato piuttosto complesso per gli storici e allo stesso tempo per quanto concerne l’obiettivo delle otto ore non è neppure semplice stabilire la data di nascita: sarà quella della lotta per le otto ore del maggio 1886 negli Stati Uniti e dei fatti di Chicago che hanno attirato su tale lotta l’attenzione di tutto il mondo; oppure quella della prima “grande manifestazione internazionale a data fissa” proclamata dalla risoluzione del congresso di Parigi nel luglio 1889 [risoluzione della Seconda Internazionale] e realizzata per la prima volta il Primo Maggio 1890? Il 1886 e il 1889-90 sono entrambi degli inizi, ma assai diversi tra loro1.
Ad ogni buon conto gli studi e le ricerche in merito sono iniziati negli ultimi due decenni del Novecento e lì si sono fermati.
I precedenti storici sulla conquista della riduzione dell’orario di lavoro li troviamo nei paesi in via di industrializzazione: in America la legge federale istituisce la giornata lavorativa di dieci ore per i dipendenti pubblici nel 1840, allargata in quasi tutti gli Stati nei successivi vent’anni, mentre in Inghilterra la legislazione per le dieci ore lavorative è del 1847. Ma anche a fronte di una legislazione, la maggior parte degli imprenditori non la rispetta, se non costretti. Nello stesso tempo la conquista delle 10 ore, non ancora e non sempre attuata, viene sorpassata dalle proteste dei lavoratori americani che lanciano come obiettivo la richiesta della giornata lavorativa di otto ore, un obiettivo che viene fatto proprio dagli operai organizzati in tutti i paesi industrializzati di lingua inglese, fino in Australia dove alcune categorie lavorative vincono la battaglia (21 aprile 1856) richiedendo l’allargamento anche per il resto dei lavoratori.
In America questo obiettivo resta momentaneamente bloccato per tre fattori: 1) la prima grande ondata d’immigrati poveri dall’Irlanda (fine anni Quaranta), 2) le crisi economiche che si susseguono negli anni Cinquanta, 3) la guerra civile (1861-65), riprendendo con più forza appena cessata la guerra con l’obiettivo di arrivare alle otto ore, giustificato dal rinnovato modo di produzione, quella meccanica, che la guerra ha introdotto nelle industrie.
Viene innanzitutto fondata da un operaio la “Lega per le otto ore del Massachusetts”, un esempio raccolto da decine di altre organizzazioni in tutto il Paese dove sono installate industrie, mentre la National Labor Union (primo tentativo di organizzare i sindacati su scala nazionale dopo la guerra) nel 1866 includerà l’obiettivo delle otto ore lavorative nella sua piattaforma e un mese dopo i rappresentanti della Prima Internazionale in un congresso a Ginevra faranno proprie le rivendicazioni per le otto ore.
Il legame tra riduzione a otto ore dell’orario di lavoro e la data del 1° maggio è sancito nel 1867 a Chicago in una grande manifestazione di protesta operaia come risposta politica contro il padronato che non vuole rispettare una legge dello Stato dell’Illinois (del marzo 1867) che dichiara le otto ore giornata legale del lavoro. Il continuo mancato rispetto delle leggi sulla giornata corta porterà alla decisione sindacale del 1884 di indicare nel primo maggio 1886 la data d’inizio del “rinnovamento” della vita lavorativa: “Otto ore di lavoro, otto ore di riposo otto ore per fare quel che si vuole”, da raggiungere non con le leggi ma con lo sciopero generale e contemporaneo nelle maggiori città.
La preistoria del 1° maggio
Ma il 1° maggio però è anche una data simbolica fin dalla notte dei tempi nei paesi nordici e in quelli mediterranei ed ha simboleggiato con le feste popolari il rinnovamento della vita, la natura che rinasce, l’incontro d’amore: una festa pagana che ha irritato molto la chiesa cattolica che mal la sopporta, tanto che nel tardo ‘500 si fa sentire con particolare violenza la voce di san Carlo Borromeo contro ogni gioia mondana. Per lui godere la vita presente significa la dimostrazione di non avere sufficiente fede nella vita futura; ma non solo: “…I danni morali di quella festa, fatta di bevute e mangiate collettive, di rappresentazioni teatrali, di contatti troppo liberi tra i sessi, non erano opera del demonio solo in senso generico: la presenza diabolica aveva un segno di riconoscimento preciso nella derivazione diretta di quella festa dalle antiche celebrazioni pagane della fertilità che si avevano a Roma all’inizio del mese di maggio. Era, insomma, una ‘gentilitia superstitio’ (un retaggio superstizioso) in senso proprio, rimasta inalterata attraverso i secoli per la presenza operante degli spiriti del male”2.
La forte opposizione a questo tipo di festa popolare da parte della chiesa non riesce a debellare la “diabolica” tradizione e allora impone la sovrapposizione delle “feste religiose” a quelle tradizionali e popolari, processioni cristiane al posto di feste pagane, sostituire agli alberi del Maggio l’albero della croce per cancellare la festa dissacrante del primo di Maggio. E nel tempo, ad opera dei gesuiti, e visto che ancora sussistono le feste pagane, si giunge a dedicare il mese di maggio alla Madonna, il “mese mariano” per eccellenza, per poi arrivare con le congregazioni mariane, attorno al 1890, a rivalutare San Giuseppe (per secoli tenuto nell’ombra), innestando una rivalità aperta con la festa (o lo sciopero generale) dei lavoratori intitolando il 1° Maggio a S. Giuseppe, per l’occasione riconvertito in “artigiano”.
Le battaglie dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (Prima Internazionale) per la liberazione dal lavoro salariato
Nel settembre del 1864 alcuni lavoratori di diversi paesi europei, trovandosi comunemente d’accordo che l’emancipazione degli operai doveva essere l’opera degli stessi operai, e che tutti gli operai della terra erano solidali ed avevano il dovere di intendersi, gettano le basi per costruire una importante e grande Associazione tesa a conquistare una emancipazione che non dovrà creare nuovi privilegi bensì stabilire eguali diritti ed eguali doveri per tutti gli uomini e le donne, per l’abolizione di ogni regime di classe, senza distinzione di genere, di colore, di credenza e di nazionalità (per l’Italia è presente Amilcare Cipriani).
Nel 1866 l’Internazionale adotta la seguente risoluzione: “La riduzione legale delle ore di lavoro è il requisito preliminare di ogni miglioramento della condizione operaia e della sua definitiva emancipazione… La riduzione della giornata lavorativa viene adesso generalmente richiesta dai lavoratori americani; noi la chiediamo per i lavoratori di tutto il mondo”.
All’organizzazione dell’Associazione Internazionale partecipa fin dalla nascita un raggruppamento radicale di Napoli molto attivo nella propaganda tra i lavoratori partenopei; successivamente sorgono altri raggruppamenti soprattutto in Sicilia, in Romagna, in Puglia e Toscana (per poi estendersi nel resto del Paese) che cominciano a dialogare tra loro, ad allacciare rapporti, a fondare giornali per la propaganda del pensiero socialista e l’organizzazione per l’emancipazione sociale. Tutto il lavorio porta infine alla necessità di organizzare la prima Sezione italiana dell’Associazione che viene costituita nell’agosto del 1872 in una conferenza a Rimini.
Una specifica commissione di statistica dovrà occuparsi della composizione di quadri statistici raccogliendo i dati dalle diverse sezioni, oltre ad altri strumenti di sua competenza, per conoscere la condizione sociale dei lavoratori. La statistica diventa così uno strumento essenziale per poter operare con cognizione attraverso la conoscenza dell’analisi sulle ore di lavoro, a cottimo e a giornata, sul lavoro continuo e temporaneo; sul numero degli apprendisti e delle apprendiste d’ogni mestiere, degli operai e delle operaie; sul guadagno medio settimanale o annuale; sulle condizioni igieniche delle officine e del lavoro; sul numero annuale di incidenti sul lavoro e sulla mortalità; sul lavoro delle donne e quello dei minori; sull’efficacia delle associazioni.
Sulla stampa si discute di scioperi, con diverse posizioni: “La Favilla” (13 agosto 1872), foglio socialista di Mantova che riprende e diffonde le tesi dell’Internazionale, li ritiene poco utili per i lavoratori “ma fecondissimi a svolgere il sentimento di solidarietà nella lotta del lavoro contro il capitale”. Intanto è sentita la necessità della resistenza del lavoro contro il capitale e viene favorita l’organizzazione delle singole sezioni per arti e mestieri e federarle in unioni secondo ciascun mestiere ed arte. Si discute dello sciopero generale e della sua importanza (1873-74), ma la regione italiana (a differenza di quella francese) non è ancora matura per questo passo e si ritiene di intensificare ancora la propaganda tra gli operai e soprattutto tra i lavoratori della terra: in quella fase è sentita l’esigenza e la necessità di costituire una cassa di resistenza, di soccorso e di solidarietà con le Sezioni che riescono ad intraprendere uno sciopero.
La nascita delle Sezioni Femminili
Nei suoi Statuti Generali l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, e in particolare quelli della Federazione delle Romagne e dell’Emilia, pone molta attenzione all’aspetto umano. Negatori di ogni autorità umana e sovrumana nei rapporti fra gli individui, viene professata la piena libertà dell’unione fra l’uomo e la donna. La donna deve avere i medesimi diritti ed i medesimi doveri dell’uomo, in ambedue i sessi deve essere rispettata la personalità umana e la libertà, economicamente indipendenti l’uno dall’altro devono avere il diritto di unirsi liberamente senza che altri possa intervenire in questo atto puramente personale, una unione libera fondata sull’affetto, sulla stima e sulle inclinazioni reciproche: una unione, questa, più forte e sacra dei moderni vincoli legali e chiesastici, che non riuscirono giammai a rendere, da soli, felice il matrimonio.
La formazione di specifiche Sezioni Femminili (fondate fin dal 1873 a Firenze, Napoli, L’Aquila, in Romagna ed altri luoghi) ricalcano questi principi che vengono comunicati alle operaie d’Italia attraverso la stampa e (per quel che conosciamo) da due manifesti del 1876 e del 1878.
Il primo manifesto è quello della Sezione Femminile di Firenze a tutte le operaie d’Italia, vittime, come noi, dei privilegi e dei pregiudizi; mantenute, come noi, nell’ignoranza e dannate ad un lavoro che ci sfinisce e non ci sfama. Esse vogliono quanto la natura ha loro dato e la società ha negato; vogliono che siano riconosciuti i propri diritti di esseri umani e la dignità rispettata, la libertà e la vita assicurate mediante il lavoro. Non è l’emancipazione borghese della donna che esse desiderano ma l’emancipazione umana; i frutti del loro lavoro devono essere loro, la vita non deve più essere alla mercé del caso e dei capricci degli uomini: vogliono una vita di libere ed eguali, alleate nelle lotte con gli uomini contro i privilegi, senza esserne le schiave. Viene affrontato il tema della prostituzione, legata alla soluzione della questione sociale e alla emancipazione del lavoro3.
Il secondo manifesto delle Sezioni Femminili di Napoli e di Romagna a tutte le operaie d’Italia ricalca il primo. Per “emancipazione” non s’intende quello dei borghesi che si propongono di dare alle donne il diritto di voto; al presente, comunica il Manifesto, il lavoro delle donne non viene giustamente retribuito, per vivere dipendono in gran parte dall’uomo e la società invece di un compagno dà loro un padrone, invece dell’amore la soggezione. Viene più ampiamente ripreso il tema, la piaga, della prostituzione che obbliga la donna a vendersi perché o non trova un lavoro o se lo trova non basta a sfamarla4.
Franco Schirone
(Relazione per l’iniziativa “La prospettiva della riduzione del tempo di lavoro”, 20 giugno 2024 allo Spazio Micene – Via G. Pinelli, ex via Micene – promossa dall’Associazione Culturale ‘Pietro Gori’, Milano)
1 Andrea Panaccione (a cura di), La memoria del Primo Maggio, Fondazione Brodolini, Marsilio editore, Venezia, 1988.
2 Vedi l’interessante saggio di Adriano Prosperi, La pasqua dei lavoratori. Sulla preistoria del 1° maggio, in “Storie e immagini del 1° maggio”, Piero Lacaita editore, Manduria-Bari-Roma, 1990.
3 “Manifesto a tutte le operaie d’Italia della Sezione Femminile di Firenze, aderente all’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Federazione Italiana”. Testo pubblicato in “LA PLEBE”, Milano, 16 ottobre 1876 senza firme. Le firme si trovano in un comunicato apparso su “IL POVERO”, Palermo 25 ottobre 1876, Il Manifesto è firmato da: LUISA Minguzzi, Assunta Pedani e Amalia Migliorini. Pubblicato anche in “La Federazione Italiana della Associazione Internazionale dei Lavoratori. Atti ufficiali 1871-1880”,a cura di P. C. Masini, Ediz. Avanti 1964, pag. 271-273.
4 “Associazione Internazionale dei Lavoratori. Federazione Italiana. Le Sezioni Femminili di Napoli e di Romagna a tutte le operaie d’italia” (manifesto, s. d., prob. del 1878). Pubblicato anche in “La Federazione Italiana della Associazione Internazionale dei Lavoratori…”, cit., pag. 332-335.